Poesia composta da S.TERESA di GESÙ
BAMBINO il 26 febbraio 1895.
Non si può non essere colpiti dall'accento di gravità
nel fervore di questa poesia d'amore, ricca, profonda ed
ampia. Non è un semplice focherello di paglia, un "madrigale"
a Dio, ma una dichiarazione che abbraccia tutta l'apertura
di questo amore, come si contemplano tutte le conseguenze
d'un atto prima di prendere una grave decisione. " Vivere
d'amore - Morir d'amore": tale è la sostanza di
questa grande meditazione nel momento in cui Teresa ha
veramente la certezza della morte prossima ed insieme
incomincia l'autobiografia, punto di vista privilegiato
sul passato, il presente e l'avvenire. Significativo è
che Teresa scriva spontaneamente questa poesia.
Essa parla "senza parabola".Non mancano
immagini simboliche ma sono più rare che altrove. Le
idee, le intuizioni hanno talvolta il sopravvento sulla
poesia, o almeno il pensiero teologico è così forte che
più difficilmente s'incarna nella forma poetica; Teresa
la forza oppure ne fa anche a meno.
Motivi conduttori che agganciano la memoria
caratterizzano la maggior parte delle strofe. La bellezza
delle invocazioni è non minore testimonianza dell'emozione
lirica di Teresa nel momento della composizione,
attestata dalla forza dei versi concentrati e ardenti.
Questo stato lirico è d'altronde confermato da una
lettera scritta la stessa settimana: durante l'aprirsi
della Quaresima, ella dice: " ...mi accontenterò
di seguire Gesù nella sua vita dolorosa, appenderò la
mia arpa ai salici lungo i fiumi di Babilonia".
L'attacco "La sera d'Amore" è d'una
grande e audace bellezza (come un attacco di violoncello);
si scavalcano tutte le circostanze e contingenze senza
spiegazione. E davvero "la grande sera dell'Amore".
Ciò che dà tutta la sua forza al parlare "senza
parabole". In un verso c'è già il faccia a
faccia dell'Amore.
Non meno audace e stupenda è la seconda strofa: partendo
dal Verbo increato, in otto versi, Teresa fa prigioniera
la Trinità! Audacia del pensiero confermata alla str.
3 dove Gesù e Teresa si scambiano il linguaggio degli "amanti".
Ma questa audacia non è presunzione né leggerezza, come
dimostra la str. 4 dove l'immagine fiammeggiante del
Tabor si spegne in quella del Calvario: bella
trasposizione poetica della Trasfigurazione quando all'improvviso
sparisce la gloria e Gesù annuncia la sua passione.
E la prima svolta della poesia: dopo la visione di gloria
e di felicità senza ombra dei primi ottanta versi, lo
scivolare dal Tabor verso il Calvario rivela l'aspetto
sofferente, combattente, di questa visione gloriosa e
vincente. Tuttavia senza vittimismo:
la Croce è un tesoro, l'esilio e la sofferenza son la
condizione umana del viver d'amore.
Il dono totale rende leggeri: " io corro "
come san Paolo o la Sposa del Cantico. L'amore fuga il
timore e brucia ogni colpa. La fragilità è beata perché
attira la grazia. L'amore raggia intorno a lei, con la
curiosa immagine del battello. Forte delle tre virtù
teologali, l'audace Teresa cambia completamente il
racconto evangelico della tempesta placata. No, lei non
sveglierà Gesù, per quanto dura sia la tempesta. E in
seguito non riprenderà mai la sua parola.
Questa via d'amore anima la sua preghiera per i sacerdoti
e la Chiesa, una delle grandi missioni della carmelitana
con l'intercessione per i peccatori, coi quali condivide
il pentimento imitando Maria Maddalena. Per quanto dolce,
il martirio d'amore resta sempre martirio, di cui
Teresa sa che è la condizione necessaria del
cammino verso Dio per lei come lo fu per Cristo.
Aspettando la sua consumazione, Teresa finora tutta
leggera trova ancora il "fardello" della vita
"molto pesante".
Nell'ultima strofa, tra il morir d'amore e viver
d'amore, Teresa riunisce insieme tutta la sua poesia,
la gloria e la sofferenza.
Viver d'Amore è zampillato in un sol getto
durante i lunghi momenti d'adorazione nel coro, alla
presenza del Santissimo Sacramento esposto per i tre
giorni delle Quarant'Ore (domenica, lunedì, martedì,
prima del Mercoledì delle Ceneri). Il clima di queste
ore ferventi è dunque vicino a quello della veglia
notturna del Giovedì Santo. Sappiamo anche da una
confidenza di Teresa fatta nell'infermeria che l'Immagine
del Volto Santo è molto presente al suo cuore e le
strappa lacrime d'amore Soltanto la sera del 26 febbraio
(martedì grasso) lei scrive a memoria le strofe composte
senza brutta copia durante la giornata (e sono
quattordici) presto completate dalla str. 4 su richiesta
di suor Genoveffa [FT A]).
Durante un'insonnia, poco avanti il 16 luglio 1897,
Teresa comporrà "molto facilmente" una
sedicesima strofa: Tu che conosci la mia debolezza
estrema. Si canterà nell'infermeria durante la
comunione di Teresa.